La cucina di Cavalcanti nel regno di Napoli

Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino,  era un famoso nobile e letterato italiano dell’Ottocento.  La sua famiglia, di antica nobiltà fiorentina e calabrese,  discendeva direttamente dal famosissimo Guido Cavalcanti, amico di Dante e poeta dei dolce stíl novo. Appassionato di cucina, è famoso per aver scritto uno dei trattati culinari più importanti della storia italiana, “La Cucina teorico-pratica”, pubblicata a Napoli nel 1837.

La Cucina teorico-pratica è un compendio di cucina tradizionale napoletana, che oggi riveste sicuramente una notevole importanza dal punto di vista storico. Molte sono le ricette presenti nella sua opera, alcune delle quali di chiara ispirazione francese, in quanto la cucina d’Oltralpe era all’epoca molto presente sulle tavole dell’aristocrazia. Ad esse si accostano altre di stampo prettamente popolare, spesso scritte in dialetto napoletano. Piatti decisamente più triviali e caserecci di una cucina povera, ma squisita, al punto da caratterizzare ancora oggi gran parte della tradizione culinaria partenopea.

Una cucina da “Masterchef”

Il primo capitolo del libro tratta dell’organizzazione della cucina, accessoriata di tutti gli strumenti e gli spazi necessari alla sua  fruizione : deve dotarsi di un focolaio con un’ottima cappa per aspirare il fumo e i cattivi odori; un ampio lavabo con un pertugio per asportare l’acqua in eccesso utilizzata durante il processo di lavaggio di verdure ed ortaggi. Per i lavori di pasticceria era necessario un lungo tavolo di marmo per impastare e lavorare i dolci, sei punti fuoco e  un grande forno con “spia” per osservare i tempi di cottura . La descrizione del Cavalcanti segue, poi, con un elenco interminabile di utensili ed attrezzi che ogni aspirante cuoco dovrebbe avere. Solo per citarne alcuni : “due casseruole di diverse dimensioni,  una pisciera, tre marmitte di rame, due tortiere, due padelle a due mani, tre padelle di rame, quattro dozzine di forme per pasticcetti, due caffettiere di diversa dimensione, una grattugia per il formaggio, una grattugia per gli agrumi, diversi tagliapasta, una siringa per la pasta bignè, un mortaio di bronzo, diverse mescole di legno, due dozzine di mappine “ (strofinacci).

Il Duca elabora addirittura un disegno di un’ipotetica stufa in mattoni necessaria per i pasti  da cucinare in anticipo e da tenere in caldo prima di servirli “Finalmente vi necessiterebbe nella cucina una stufa per conservarci tutti quei piatti che debbonsi servire caldi e che nella circostanza di un pranzo o di una cena si debbono anticipare”, giustificandosi da eventuali critiche legate al suo eccesso di zelo  con tali parole : “…ma già sento dirmi : e perché non servirsi del forno per tale oggetto? E’ vero, ma trattandosi di una cucina grandiosa ho creduto necessario fare questa descrizione”.

Cosa cucino oggi ?

Successivamente passa all’elenco delle varie pietanze, spaziando tra antipasti, primi, secondi, contorni, dolci, sorbetti e liquori. sono più di 100 i menu e tutti divisi per categoria, in cui ritroviamo gli squisiti piatti della tradizione campana ; dagli spaghetti alle vongole alla pizza fritta, dalla minestra maritata alla pasta e fagioli, il gattò di patate, la pastiera di grano, gli struffoli e i babà. Un elenco di pietanze talmente vasto che in una sua successiva edizione il Cavalcanti decide di elaborare una lista di quattro piatti al giorno da cucinare per un anno intero. Il motivo era quello di evitare ai lettori le discussioni familiari mattutine su cosa preparare ogni giorno per il  pranzo !

Nel giorno del Carnevale, compare naturalmente la ricetta della lasagna, che a Napoli si prepara primariamente il martedì grasso.  Un piatto tanto apprezzato dal popolo, ma anche dai sovrani, al punto tale che l’ultimo re Borbone, Francesco II, era soprannominato “Re Lasagna”, data  la sua passione maniacale per questa succulenta pietanza.

Cavalcanti la descrive così :

“Chisto è no piatto che se fa spisso lo Carnevale. Piglia al maccaronaro de vascia a lo Pennino chelle belle tagliarelle larie, che pareno fettucce de fianda (vi ca a cheste nce vo chiù acqua pe li cocere). doppo che l’hai cotte le mettarraje a solare a solare o dinto a no ruoto, o a na prattella, per ogne solare nce miette lo caso mmescato no filaro de fellucce de provola janca, o mozzarelle, no filaro de cervellate cotte dinto a lo stufato e si nce miette doje porpettelle non faje male, no bello coppino de brodo de stufato, e accossì farraje per ognie solaro, e lle farraje stufà, si po le vorrisse fà doce dint’a lo caso nce miette lo zucchero e no poco de cannella e pure le farraje stufà co fuoco sotto e ncoppa”.